Stato del benessere

Domanda di: S. Del Carpio | Ultima modifica: 19 Giugno 2023 - Tempo di lettura: 7 minuti
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Il concetto ampio e complesso dello stato del benessere può essere interpretato in vari modi a seconda del contesto e delle prospettive. In generale, si riferisce al livello di soddisfazione e prosperità delle persone in una determinata società o comunità. Misurare il benessere richiede l’utilizzo di diversi indicatori economici, sociali e di qualità della vita.

Sebbene gli indicatori economici tradizionali, come il PIL, possano fornire un’idea dello sviluppo economico di un paese, non rappresentano necessariamente il benessere complessivo della popolazione. Per questo motivo, negli ultimi anni sono stati sviluppati e utilizzati nuovi indicatori che prendono in considerazione fattori come l’istruzione, la salute, l’accesso alle risorse, l’equità sociale e la sostenibilità ambientale.

Indicatori di benessere

Alcuni dei principali indicatori utilizzati per valutare il benessere includono l’Indice di Sviluppo Umano (ISU), che tiene conto dell’aspettativa di vita, dell’istruzione e del reddito; l’Indice di Felicità Nazionale Lorda (IFNL), che misura la felicità e il benessere soggettivo della popolazione; e l’Indice di Progresso Reale (IPR), che considera gli aspetti economici, sociali e ambientali del progresso.

Tuttavia, è importante sottolineare che il benessere è un concetto soggettivo e può variare da persona a persona. Ciò che contribuisce al benessere di un individuo potrebbe non essere lo stesso per un altro. Inoltre, valutare il benessere richiede non solo indicatori quantitativi, ma anche una valutazione qualitativa delle condizioni di vita, delle relazioni sociali, dell’autonomia individuale e di altri fattori intangibili.

In sintesi, lo stato del benessere si riferisce al livello generale di prosperità, soddisfazione e qualità della vita di una società o comunità. È un concetto multidimensionale che può essere valutato utilizzando una combinazione di indicatori economici, sociali e di qualità della vita, ma richiede anche una comprensione dei bisogni e delle aspirazioni individuali.

Il Welfare

Il Welfare state, invece, si riferisce all’insieme delle attività e delle politiche intraprese dallo Stato per garantire il benessere sociale. Questo include forme di assistenza sociale come sussidi alla disoccupazione, sicurezza sociale, e la massima diffusione dei servizi pubblici considerati essenziali, come istruzione e sanità. L’intervento pubblico nel benessere sociale ha avuto origine intorno al 1880 in Germania, ma il termine “Welfare state” è diventato comune dopo la seconda guerra mondiale, quando molti Stati europei adottarono piani specifici di aiuti alla popolazione più povera. Negli ultimi anni, tuttavia, il Welfare state ha affrontato una crisi dovuta all’aumento della spesa per l’assistenza sociale e alle critiche riguardo agli sprechi e all’efficienza del sistema. Ci sono opinioni contrastanti riguardo alla giustificazione economica del Welfare state, con alcuni che sostengono la necessità di sopperire ai fallimenti del mercato e soddisfare bisogni collettivi, mentre altri ritengono che l’assistenzialismo possa disincentivare la produttività delle persone beneficiarie dei sussidi.

Garantire lo Stato del benessere

Garantire ai cittadini un insieme di servizi sociali è una sfida fondamentale per uno Stato del benessere. Questo concetto, noto anche come Welfare State, si riferisce all’offerta di servizi quali istruzione, assistenza sanitaria, pensioni e protezione contro malattie, infortuni e disoccupazione da parte dello Stato ai propri cittadini, gratuitamente o a costi molto bassi.

L’origine dello Stato del benessere risale agli anni ’40 in Inghilterra e si diffuse successivamente in Europa occidentale. Nasce come risposta alla drammatica questione sociale generata dalla rivoluzione industriale. L’avvento delle macchine e delle fabbriche portò ad un notevole aumento della capacità produttiva, ma anche alla creazione di una vasta classe sociale che viveva in condizioni di estrema povertà. Da questa situazione, nacquero i sindacati operai e i partiti socialisti che lottavano per migliorare le condizioni di lavoro e introdurre forme di assistenza sociale.

Due fattori contribuirono a evitare un conflitto sociale distruttivo. In primo luogo, il timore di una rivoluzione spingeva gli Stati, verso la fine del XIX secolo, a introdurre le prime forme di legislazione sociale. In secondo luogo, l’allargamento del diritto di voto consentì ai nuovi partiti di massa di entrare nei Parlamenti e di combattere politicamente per migliorare le condizioni di vita delle classi meno abbienti.

Il moderno Stato del benessere si sviluppò in Europa alla fine del XIX secolo come una risposta diretta alle necessità sociali emerse dalla rivoluzione industriale. La Germania fu la prima nazione a istituire l’assicurazione sociale contro malattie, infortuni, invalidità e vecchiaia, grazie all’opera del cancelliere Bismarck negli anni ’80. In Inghilterra, negli anni ’10 del XX secolo, emersero le basi dello Stato del benessere attraverso l’assicurazione sanitaria nazionale e un sistema fiscale fortemente progressivo.

Durante la Grande Depressione del 1929, gli Stati intensificarono le politiche assistenziali per contrastare la disoccupazione, sia nei regimi dittatoriali come Italia e Germania, sia nelle democrazie come gli Stati Uniti con il New Deal del presidente Roosevelt. Tuttavia, il progetto più articolato di Stato del benessere venne realizzato nell’Inghilterra degli anni ’40, quando il liberale William Beveridge presentò un piano che proponeva la protezione di tutti i cittadini da situazioni difficili a breve o lungo termine.

Negli anni ’50 e ’70, i governi di ispirazione socialdemocratica o cristiano-sociale in Europa realizzarono un ampio sistema di servizi sociali, garantendo una rete di protezione sociale. Nonostante le differenze politiche, l’idea di “diritti sociali” divenne sempre più radicata nella coscienza collettiva.

Negli anni ’70, i crescenti costi dello Stato del benessere e le difficoltà economiche resero necessaria una riduzione della spesa pubblica, segnando l’inizio della crisi dello Stato del benessere. Cambiamenti demografici, come l’allungamento della vita e la diminuzione delle nascite, generarono un aumento dei costi delle pensioni. Allo stesso tempo, l’aumento della spesa sanitaria per una popolazione invecchiata e la gestione inefficace delle strutture pubbliche contribuirono alla crisi.

A partire dagli anni ’80, sono stati intrapresi vari tentativi di riforma dello Stato del benessere, suscitando resistenze da parte dei cittadini. I governi di orientamento liberale hanno proposto interventi più drastici, mentre quelli guidati da partiti socialdemocratici o cristiano-democratici hanno preferito approcci più morbidi. Tuttavia, a partire dagli anni ’90, nessuno ha messo in discussione la necessità di riformare lo Stato sociale, ma neanche il suo smantellamento. Le riforme si sono concentrate principalmente su due settori costosi: le pensioni e la sanità, adottando misure come l’aumento dell’età pensionabile, la riduzione delle pensioni più alte e la promozione di forme di previdenza privata. Nell’assistenza sanitaria, sono stati introdotti ticket per alcune prestazioni e farmaci.

Secondo gli studiosi, possono essere individuati tre modelli principali di Stato del benessere. Il modello “universale-redistributivo”, come quello inglese fino agli anni ’80, si basa sull’idea di garantire a tutti i cittadini un reddito minimo e una serie di servizi e protezioni direttamente forniti dallo Stato, perseguendo uno standard di vita medio-alto per tutti. Il modello “meritocratico-corporativo”, sviluppato in Germania, si basa sul finanziamento di servizi pubblici attraverso i vari settori lavorativi, erogando servizi in base ai risultati ottenuti in quel settore. Infine, il modello “residuale”, tipicamente americano, interviene soltanto dove il mercato o la famiglia non riescono a soddisfare i bisogni, con un ruolo dello Stato limitato.

Lo Stato del benessere, sebbene abbia subito una crisi nei costi e richieda continue riforme, rimane un elemento centrale nel garantire i servizi sociali ai cittadini e nel promuovere una maggiore equità e solidarietà nella società.

Lo stato sociale, conosciuto anche come welfare state, è un insieme di politiche sociali che mirano a proteggere e assistere i cittadini nei bisogni legati alle condizioni di vita e sociali. Questo concetto va oltre il semplice sostegno economico, rappresentando un orientamento dello Stato e delle istituzioni sociali per promuovere il benessere economico e sociale dei cittadini. Il suo obiettivo è garantire pari opportunità, equa distribuzione della ricchezza e responsabilità pubblica verso i cittadini più vulnerabili.

Le prime politiche sociali

Le prime politiche sociali, come le pensioni pubbliche e le assicurazioni sociali, sono state sviluppate a partire dagli anni ’80 in paesi occidentali in fase di industrializzazione. Tuttavia, l’espansione dello stato sociale ha preso slancio durante la Grande Depressione e le due guerre mondiali, quando era necessario affrontare la disoccupazione, la perdita di produzione e il collasso del sistema finanziario. Negli anni ’70, molti sistemi di welfare sono entrati in crisi a causa di politiche neoliberiste, crisi economiche, trasformazioni sociali ed economiche, cambiamenti demografici e problemi di sostenibilità finanziaria.

La storia dello stato sociale può essere suddivisa in diverse fasi. La prima fase, dalla metà del XIX secolo alla prima guerra mondiale, è caratterizzata dalla nascita delle prime forme di protezione sociale, che non solo fornivano assistenza ma anche gestivano l’ordine pubblico e la forza lavoro. Durante il periodo tra le due guerre mondiali, si è verificato un consolidamento dello stato sociale in molti paesi, seguito da un’espansione significativa delle politiche sociali dopo la seconda guerra mondiale. Tuttavia, negli anni ’70 e ’80, la crisi economica e le trasformazioni sociali hanno messo in crisi i modelli di stato sociale, richiedendo riforme e adattamenti per soddisfare le nuove esigenze della società.

Ci sono diverse interpretazioni storiche dell’evoluzione dello stato sociale. Le interpretazioni ideologiche mettono in evidenza le idee che hanno influenzato la legislazione sociale, con alcuni storici che vedono la legislazione sociale come un mezzo per migliorare il benessere collettivo e altri che la considerano uno strumento di controllo delle masse da parte delle classi dominanti. Le interpretazioni contestuali si basano sulla teoria della convergenza, secondo cui le società industrializzate tendono a sviluppare strutture sociali ed economiche simili, compreso lo stato sociale. Le interpretazioni storico-istituzionaliste considerano che l’evoluzione dello stato sociale sia influenzata principalmente dalle istituzioni, che comprendono non solo organizzazioni formali, ma anche regole, leggi, idee e valori che informano e guidano la politica sociale.


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