Louis è un uomo gentile, un film che racconta il debutto cinematografico del comico e regista teatrale Rudy Milstein, che riesce a farci ridere di tutto, compreso il cancro. “Je ne suis pas un héros” dipinge senza compromessi una società individualista, ipocrita e cinica
Louis (Vincent Dedienne) è un “junior” in uno dei grandi studi legali parigini. Con lo zaino in spalla come uno studente delle scuole medie, gentile, timido, un po’ impacciato, incerto su cosa fare del suo corpo, commette errori e fatica a trovare il suo posto in un ambiente dove ognuno si fa largo per ottenere la causa che farà decollare la propria carriera. Il giovane stagna negli uffici da un anno quando finalmente convince un collega più anziano a affidargli la stesura di una “nota” su un caso che coinvolge un’azienda di pesticidi, da difendere.
Nel frattempo, il suo medico, poco diplomatico (la scena è esilarante), gli diagnostica un cancro. Questa notizia cambia il modo in cui gli altri lo guardano, quello dei suoi genitori, che finalmente si preoccupano di lui, e soprattutto quello di Elsa, avvocato di spicco dello studio (Clémence Poésy), che vede nella malattia di Louis un’opportunità per ammorbidire i querelanti affetti dal cancro nel caso dei pesticidi…
In generale, Louis manca di ponderazione. Per attirare l’attenzione, cerca di compiacere tutti: sua madre Isabelle (Isabelle Nanty), ex avvocato femminista divenuta depressa e poco interessata a chi sia veramente lui, i suoi colleghi pieni di ambizione, la bella e carismatica Elsa, che vuole conquistare.
Louis è gentile anche con quelli del campo opposto, vittime dell’azienda che viene pagato per difendere: Julien (Rabah Nait Oufella), un giovane condannato dalla malattia, che accompagna nei suoi progetti, o la combattiva Hèlène (Géraldine Nakache), che conduce una battaglia più o meno disinteressata per i malati. Ma dietro questa gentilezza apparente, Louis agisce esattamente come quelli che lo pagano: senza scrupoli, con, come gli dice Julien senza rabbia, “una morale in fase terminale”.
Bruno, il vicino di Louis, appare come una figura di contrasto. Incapace di provare emozioni dopo un ictus, pronuncia senza filtri tutto ciò che gli passa per la mente. Personaggio divertente, distante anni luce dai suoi simili e dalle preoccupazioni che li animano, è anche quello che si rivelerà il più commovente.
Qualche considerazione sul film
Il primo lungometraggio di questo attore e regista teatrale getta uno sguardo sarcastico su una società che preferisce il successo ai valori umani, il cinismo alla sincerità. È con tono comico, con una comicità di situazione orchestrata come una coreografia e dialoghi ritmati, che il giovane regista porta sullo schermo questa storia che oppone due mondi. Al centro, Louis, intrappolato nella sua bugia, che ballando su un piede e poi sull’altro finisce per inciampare.
Questa messa in scena molto teatrale si adatta perfettamente a Vincent Dedienne, che propone scene vicine al cinema muto tanto è espressivo, come un clown o un mimo, e all’eccellente troupe di attori e attrici che lo circondano. Isabelle Nanty è perfetta nel ruolo della mamma dalle battute apparentemente innocue, ma in realtà assassine, Géraldine Nakache in quello della passionaria dal linguaggio colorito, e Clémence Poésy nell’avvocato immorale. Rabah Naït Oufella interpreta con sfumature un malato di cancro più complesso di quanto sembri, e Rudy Milstein è esilarante nel ruolo del vicino fuori dal mondo.
Il giovane regista non risparmia nessuno, mettendo in scena fino all’assurdo personaggi cinici, insensibili e spesso contraddittori. Questa commedia apparentemente leggera dice molto sul nostro mondo contemporaneo, tra le righe, senza fare una tesi completa. Si può ridere di tutto? In questo esercizio di equilibrismo, il giovane regista riesce a farci ridere di argomenti seri, ma anche, dopo aver dispiegato un cinismo gioioso, a emozionarci con un colpo di scena finale.
Una trama semplice ma non scontata
Nel fervore dell’anno 1980, Daniel Balavoine, figura in ascesa nella scena musicale francese, si distingue al vertice delle classifiche di vendita di dischi. In questo contesto, un incontro significativo con Johnny Hallyday, sempre alla ricerca di nuovi talenti, sancisce l’inizio di una collaborazione destinata a plasmare il panorama musicale dell’epoca. L’amicizia tra i due artisti sboccia durante un’intervista radiofonica, generando un’intesa creativa senza precedenti.
Il desiderio radicato in Balavoine di comporre per Johnny Hallyday trova finalmente forma con l’incarico di scrivere una canzone per il prossimo album del celebre cantante. Guidato dalla passione e da un profondo rispetto per l’artista, Balavoine si mette subito all’opera, dando vita a “Je ne suis pas un héros”, brano intriso di emozioni e ispirato dalla vita e dalle vicissitudini del suo idolo, spesso protagonista sulle prime pagine dei giornali per le sue avventure e disavventure.
Il processo creativo che ha portato alla nascita di “Je ne suis pas un héros” riflette il profondo legame emotivo tra Balavoine e la sua musa ispiratrice, Johnny Hallyday. Attraverso versi penetranti e una melodia avvolgente, Balavoine cattura l’anima di Hallyday, trasmettendo al pubblico l’essenza della sua personalità e delle sue esperienze.
Il ritratto di Balavoine, autore e interprete, si dipana come un filo conduttore nel tessuto musicale dell’epoca. La sua voce, carica di pathos e autenticità, si erge a simbolo di una generazione in cerca di identità e significato. La sua capacità di tradurre emozioni complesse in semplici note musicali lo consacra come uno dei più grandi cantautori del suo tempo.
“Je ne suis pas un héros” diventa presto un inno per molti, un inno che risuona nelle strade e nelle menti di coloro che si identificano con il senso di vulnerabilità e di umanità che la canzone incarna. Il suo impatto va al di là della mera espressione artistica, trasformandosi in un riflesso delle sfide e delle contraddizioni della vita quotidiana.
Il cammino verso la creazione di questo “Collector” di Daniel Balavoine è stato segnato da una serie di tappe significative, tra cui l’amicizia instaurata con Johnny Hallyday, la fervida ispirazione tratta dalle esperienze dell’idolo e la tenace determinazione nell’esprimere sentimenti universali attraverso la musica.
“Je ne suis pas un héros” non è solo una canzone, ma un monumento alla vulnerabilità umana e alla forza interiore necessaria per affrontare le sfide della vita. Il suo retaggio musicale continua a vivere nell’animo di coloro che si lasciano trasportare dalle sue note, testimoniando l’eterna risonanza dell’arte nel cuore dell’uomo.
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