Dal “non è la prima donna avvocato d’Italia” alle parole della pronipote che non riconosce la storia come veritiera, qualche problema per Lidia Poët su Netflix. Da fenomeno mondiale a critiche sulla veridicità della narrativa è un attimo.
Lidia Poët, la prima “avvocata italiana“, è protagonista di una nuova serie su Netflix, ma secondo il regista Fredo Valla, il personaggio mostrato sullo schermo è ben diverso da quello reale. Quale fu, allora, la vera storia della prima avvocata italiana? Per saperne di più, è possibile leggere il libro di Cristina Ricci intitolato “Lidia Poët. Vita e battaglie della prima avvocata italiana, pioniera dell’emancipazione femminile”. Il libro su Lidia è il risultato di un’approfondita ricerca che ricostruisce la vita di questa donna, a cui il Comune di Torino ha intitolato un’area giochi per bambini in segno di ricordo del suo impegno per i più deboli, come donne, bambini e detenuti.
Lidia Poët nacque il 26 agosto 1855 a Traverse di Perrero, un piccolo borgo montano della Val Germanasca, da una colta e facoltosa famiglia valdese. Fin dalla più tenera età, Lidia amava leggere e confidò a un giornalista: “Ero nata per studiare, e non ho mai fatto altro, in un secolo nel quale le ragazze si occupavano esclusivamente di trine all’ago e di budini di riso”.
Le critiche sono giuste, ma nessuno tocchi il suo ruolo di emancipazione femminile e le sua aspirazioni professionali come fonte di ispirazione per le donne del tempo e di oggi
Lidia fu inviata a studiare ad Aubonne, in Svizzera, come era prassi per le ragazze del suo rango. Tornata in Italia, non si sentì soddisfatta della vita mondana che l’aspettava e decise di continuare a studiare, iscrivendosi all’università. Questa era una decisione non comune per l’epoca, poiché solo un anno prima era stata deliberata la possibilità per le donne di iscriversi. La notizia fece molto scalpore e il Corriere della Sera scrisse il 7 agosto 1877: “I giornali di Torino annunciano che una signorina di Pinerolo, Lidia Poët, superati gli esami di licenza liceale nel Liceo di Mondovì, proseguirà negli studi all’Università di Torino“. Da questo punto di vista, la storia ha un carattere narrativo forte, basti pensare che all’epoca la figura femminile che otteneva un pass per un’università costituiva fatto nuovo, se possibile anche di polemica e scetticiscmo.
All’Università di Torino c’erano solo quattro studentesse: oltre a Lidia, c’erano Teresa Bargis e Carlotta Capra Novarese (Facoltà di Lettere e Filosofia) e Maria Velleda Farnè (Facoltà di Medicina e Chirurgia). Lidia si iscrisse dapprima a Medicina e, dopo poco, decise di passare a Giurisprudenza. Non si conoscono i motivi dell’abbandono di Medicina, ma sicuramente a spingerla verso Giurisprudenza furono i famigliari: la madre e il fratello esercitavano già la professione di avvocato. Lidia si laureò con una tesi sul suffragio femminile, dove spiegò che riconoscere il solo voto alle donne non sarebbe bastato: “Se riforma s’ha da fare, si è riguardo all’istruzione ed all’educazione femminile, tanto da fare sì che la donna possa corrispondere a tutte le esigenze, ai bisogni e ai progressi della vita moderna”.
Lidia Poët è stata la prima avvocatessa in Italia?
Lidia Poët, secondo il racconto della mini serie su Netflix, sarebbe stata la prima avvocatessa in Italia, ma la sua storia è invero ancora poco conosciuta, forse anche al regista della serie. Nata a Torino nel 1855, Lidia si iscrisse all’Università di Torino all’età di vent’anni, dove studiò prima Medicina e poi Giurisprudenza. Nel 1883 chiese di essere ammessa all’Ordine degli Avvocati e Procuratori di Torino, ma la sua richiesta fu respinta in quanto l’avvocatura era un’attività esercitabile solo da uomini.
Nonostante questo, Lidia non si arrese e presentò ricorso alla Corte di Cassazione di Torino, ma anche questo fu respinto. Dovette aspettare il 1919, all’età di 65 anni, quando la legge italiana ammetteva le donne all’esercizio delle libere professioni, per poter finalmente iscriversi all’Ordine degli Avvocati.
Di fronte alle difficoltà incontrate, Lidia Poët non si arrese e continuò a lottare per i diritti delle donne e per il miglioramento del sistema carcerario. Partecipò a importanti convegni internazionali, dove si discuteva della finalità della detenzione e dei temi fondamentali che avevano ricadute importanti sull’attuale sistema carcerario.
Lidia Poët si dedicò anche all’impegno per i diritti delle donne e nel 1922 divenne presidente del Comitato Pro Voto Donne di Torino.
Purtroppo, la sua vera figura è stata poco rappresentata nella serie televisiva dedicata alla sua vita, come afferma Daniela Trezzi, avvocata e discendente di Lidia Poët. La serie non ha mostrato, invero, il suo impegno per le donne, per le detenute e per i ragazzi abbandonati, ma ha invece dato maggior risalto ad aspetti della sua vita privata.
La vera storia di Lidia Poët sarebbe un esempio di coraggio e determinazione nel lottare per i propri ideali e per i diritti delle donne, e merita di essere maggiormente conosciuta e raccontata. Riguardo i refusi che potrebbero “affollare” la narrativa della storia, bisogna sottolineare che Lidia è stata la prima donna dell’Ordine degli Avvocati di Torino, probabilmente non d’Italia.
Critiche arrivano dal Sud Italia, e dalla pronipote di Lidia
La serie Netflix “Lidia” ha suscitato molte polemiche sin dal suo debutto, non solo per la scelta del personaggio principale, ma anche per l’approccio narrativo. In particolare, l’avvocata Cecilia Di Lernia ha contestato l’affermazione che Lidia Poët sarebbe la prima avvocata d’Italia, sottolineando che questo primato spetterebbe a Giustina Rocca di Trani, una figura storica del XV secolo che ha ispirato anche Shakespeare (la sua figura avrebbe ispirato il personaggio di Porzia di Belmonte nel Mercante di Venezia).
Anche la pronipote di Lidia Poët, Marilena Jahier Togliatto, ha espresso la sua critica alla serie, sostenendo che non ci sarebbe nulla di vero nella rappresentazione di questa sua parente. Ha evidenziato come il linguaggio utilizzato nella serie non rispecchi quello dell’epoca, e che Lidia era una donna seria e riservata, diversa dal personaggio interpretato da Matilda De Angelis e dal modo in cui viene proposto.
La serie Netflix “Lidia” sembra aver avuto molto successo ma anche suscitato molte critiche e polemiche, non solo per l’inaccuratezza storica, ma anche per la rappresentazione dei personaggi, soprattutto quello principale. Tuttavia, resta indubbio che la figura di Lidia Poët rappresenti un importante esempio di emancipazione femminile e di lotta per i diritti delle donne, che meriterebbe di essere maggiormente approfondita e valorizzata.
La serie “La legge di Lidia Poët”, diretta da Matteo Rovere e Letizia Lamartire, è uscita su Netflix il 15 febbraio con il sostegno della Film Commission Torino Piemonte e il patrocinio della città di Torino. La serie, interpretata dall’attrice Matilda De Angelis, è stata suddivisa in sei episodi e ha ricevuto un buon riscontro dal pubblico, tuttavia è stata criticata dai familiari di Lidia Poët, in particolare dalla pronipote Marilena Jahier Togliatto. Jahier Togliatto ha criticato la rappresentazione volgare della sua antenata, sostenendo che il comportamento e il linguaggio mostrati nella serie non sono verosimili per una donna dell’Ottocento e danno un’immagine indecorosa di un personaggio che ha fatto molto per l’emancipazione femminile. Anche un altro discendente di Lidia Poët, Valdo Poët, ha criticato la serie anche se senza probabilmente averla vista.
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