Perché vengono fatti così pochi (buoni) film sui Social Media?

Scritto da Francesco Marangi, 10 Marzo 2023 - Tempo di lettura: 5 minuti

Nonostante siano una parte enorme della nostra vita quotidiana, sembra che pochi cineasti siano stati in grado di affrontare la tecnologia in modo significativo. È la forma o il contenuto il problema?

La presenza onnipresente dei social media è diventata una parte fondamentale della vita quotidiana. Come nell’articolo apparso sul Little White Lies, spesso si discute se l’ubiquità dei social sia un bene o un male, ma le generalizzazioni diventano difficili quando ci sono tanti modi di interagire con i social media e gli usi che si possono fare con i social sono troppo eterogenei.

The Social Dilemma

La pellicola cinematografica si è dimostrata a lungo un mezzo particolarmente adatto a catturare le sfumature dell’esperienza vissuta. Nel corso dell’ultimo decennio, molti cineasti si sono concentrati sulle sfide della rappresentazione della gamma di modi in cui le persone sono influenzate da questioni contemporanee come il cambiamento climatico, la violenza di Stato e la politica sessuale, senza affidarsi a parole chiave e generalizzazioni. Quindi, perché così pochi film si occupano esplicitamente del tema dei social media – e la maggior parte di quelli che lo fanno sembrano delle stucchevoli slides di una lezione di educazione alla salute?

Il problema inizia nell’architettura della narrazione. Basta frequentare un corso di sceneggiatura (o leggere un articolo online su come scrivere una sceneggiatura) per incontrare una nota ritenuta fondamentale: aumentare le tensioni. La noia è il crimine supremo in un film, e spingere le meccaniche di una storia ai loro massimi estremi logici è il panacea della narrazione per mantenere il pubblico impegnato e sulle spine. Il problema è che, quando il tema diventano i social media, questo significa spingere la storia in aree di internet che l’utente medio non sperimenta mai.

In Not Okay, film del 2022 di Quinn Shepard, Danni Sanders – una giovane donna disperata di piacere – costruisce una rete elaborata di bugie per convincere il mondo di aver assistito a un attacco terroristico in Francia, quando in realtà era al sicuro nel suo appartamento di New York. Mentre Sanders commette frodi su vasta scala per ottenere clout sociale a discapito dei suoi amici e della sua famiglia, è in realtà abbastanza innocua per diventare la “cattiva” in un film sui social media.

Ingrid Thorburn, di Ingrid Goes West di Matt Spicer, va oltre e viene raffigurata come una giovane donna ossessionata dalla vita perfetta della sua influencer preferita sui social media. Ingrid, interpretata con una brillantezza terrificante e squilibrata da Aubrey Plaza, è spinta allo stalking, al ricatto e alla violenza quando la vita falsa che desidera sfugge alla sua portata.

Quando la gamma di esperienze sui social media nei film va dagli influencer ingannevoli ai criminali mentalmente malati, non riesce a coinvolgere l’esperienza più comune – e a mio avviso più interessante – dell’utente medio.

Negli ultimi anni sempre più film hanno necessitato di utilizzare i social media come strumento narrativo. Ma come mostrare l’esperienza dell’utilizzo dei social media sul grande schermo? Questa è la domanda che i registi si sono posti e alla quale hanno cercato di dare risposta.

È una questione di rappresentare i social media senza plagiarli?

Uno dei problemi principali è rappresentare i messaggi di testo in modo coinvolgente. Nel corso degli anni, la tecnica più utilizzata è stata quella di far comparire le bolle dei messaggi sui lati dello schermo. Questo metodo funziona bene per le commedie romantiche o i film adolescenziali, ma può diventare fastidioso nei film con un tono serio o realistico.

Alcuni registi hanno scelto di rappresentare i messaggi di testo in un’ambientazione reale, come ad esempio nel recente telefilm Hulu, “The Girl from Plainville”. Anche se questa soluzione funziona, non permette di esplorare le differenze tra la comunicazione online e quella faccia a faccia.

Il film del 2018 “Eighth Grade” di Bo Burnham rappresenta un’alternativa interessante. Il film segue Kayla, una tredicenne alle prese con la sua ultima settimana di scuola media. Il film affronta il tema dell’identità e delle ansie che la costruzione di essa comporta, sia online che offline. “Eighth Grade” si concentra sull’esperienza quotidiana dell’utente medio dei social media, piuttosto che sugli aspetti più estremi della vita online.

Il film del 2021 “Zola” offre un’ulteriore alternativa, evitando i cliché visivi spesso associati ai film sui social media. Basato sul famoso thread di Twitter scritto dalla cameriera di Detroit Aziah “Zola” King e diretto da Janizca Bravo, il film gioca con gli angoli di ripresa e la movimentazione della telecamera, rappresentando in modo originale la differenza tra le foto pubblicate sui social media e la realtà imprevedibile.

Inoltre, “Zola” è un film che esplora le differenze di esperienze online in base a fattori come razza, genere e classe sociale. Mentre molti film sui social media si concentrano principalmente sulle giovani donne bianche, “Zola” cerca di esplorare in modo più specifico le diverse esperienze online delle persone.

Social media e cinema sono interconnessi

Molti registi evitano di mostrare in modo critico i media online per non essere associati all’industria dell’intrattenimento di Hollywood. Ma la verità è che la connessione tra i social media e il cinema è evidente. Quindi, piuttosto che ignorare le problematiche legate ai social media, i registi dovrebbero cercare di analizzarle e affrontarle in modo critico.

I registi devono trovare un modo innovativo ed efficace per rappresentare l’esperienza dei social media sul grande schermo, senza cadere nei cliché visivi spesso associati ai film sui social media. Il film “Zola” e “Eighth Grade” rappresentano un passo avanti in questo senso, offrendo un primo approccio, originale e critico, alla rappresentazione cinematografica della vita online.

E poi c’è il caso di The Social Dilemma, un docufilm che racconta il ruolo dei social in modo decisamente negativo. In questa pellicola i social sono i veri protagonisti – un pò come The Social Network – quindi l’esempio esula non di poco dalla tesi di questo articolo. Il film esamina la diffusione dei social media e il danno che essi causano alla società, concentrandosi particolarmente sullo sfruttamento e sulla manipolazione degli utenti, attraverso l’utilizzo di tecniche come il data mining e la vendita dei dati personali. La trama del documentario presenta Ben, un ragazzo con una chiara dipendenza da social media, che, costretto dalla madre a non utilizzare il cellulare per una settimana, entra in uno stato di crisi. I sintomi sono legati alla dipendenza da internet, ossia la necessità di stare sempre più connessi per raggiungere uno stato di temporanea soddisfazione personale. La rappresentazione dei social nella vita del ragazzo rimane tuttavia uno degli esempi più riusciti per impiantare la doppia vita dei personaggi – tra reale e digitale – in un unico filone narrativo che possa rendere la quotidianità della narrazione più vicina a quella dello spettatore.

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