Brooklyn è Un Viaggio Emozionante attraverso gli Anni Cinquanta, basato su un romanzo omonimo di cui non sarà difficile innamorarsi
Il film del 2015, “Brooklyn“, diretto dal talentuoso regista irlandese John Crowley, offre al pubblico un’esperienza cinematografica straordinaria. La pellicola, tratta dall’omonimo romanzo di Colm Tóibín e sceneggiata da Nick Hornby, può vantare un cast stellare e una trama coinvolgente. Questa produzione a budget contenuto ha ricevuto due nomination agli Oscar: una per la Miglior Attrice Protagonista, grazie alla straordinaria interpretazione di Saoirse Ronan, e una per la Miglior Sceneggiatura Non Originale. Ecco tutto quello che dovete sapere su questo capolavoro cinematografico.
Il Cast e la Trama di Brooklyn
Il film è ambientato negli anni ’50 e segue la vita di Eilis Lacey, interpretata da Saoirse Ronan, una giovane irlandese in cerca di opportunità migliori negli Stati Uniti. Ronan interpreta la protagonista, Eilis Lacey, e il film, ambientato nel 1951-52, è la storia di Eilis, che inizia a Enniscorthy, in Irlanda, dove vive con la sua sorella maggiore (Fiona Glascott) e sua madre vedova (Jane Brennan). Lavorando infelice in un piccolo negozio di alimentari, Eilis riceve l’opportunità di emigrare negli Stati Uniti grazie ai contatti di un prete locale con un prete a New York. Una volta lì, alloggiata in una pensione a Brooklyn e impiegata in un grande magazzino, Eilis fiorisce: il prete di New York, Padre Flood (Jim Broadbent), organizza per Eilis di frequentare corsi serali di contabilità al Brooklyn College, e Eilis incontra e si innamora di un giovane uomo di Brooklyn sincero, Tony Fiorello (Emory Cohen), un idraulico, che vuole sposarla. (Evito spoiler qui.) Ma un’emergenza familiare costringe Eilis a tornare temporaneamente nella sua città natale. Lì, incontra un giovane locale, Jim Farrell (Domhnall Gleeson), di una famiglia radicata in città. Anche Jim vuole sposare Eilis, e lei deve prendere una decisione.
“Brooklyn,” oltre a offrire una trama coinvolgente, affronta temi universali come l’immigrazione, l’identità e il senso di appartenenza. Saoirse Ronan regala un’interpretazione toccante e profonda del personaggio di Eilis, trasmettendo con maestria le emozioni del personaggio. Il film è stato elogiato dalla critica e ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui tre nomination agli Oscar. La regia di John Crowley e la sceneggiatura di Nick Hornby contribuiscono a rendere “Brooklyn” un’opera d’arte cinematografica indimenticabile.
Curiosità sul Film
Il debutto mondiale di “Brooklyn” è avvenuto al Sundance Film Festival il 26 gennaio 2015, seguito dalla partecipazione a vari festival internazionali, tra cui il Toronto International Film Festival e il London Film Festival. Il pubblico italiano ha avuto l’opportunità di scoprire questa toccante storia il 24 novembre 2015, quando il film è stato presentato al Torino Film Festival, per poi essere distribuito nelle sale cinematografiche il 17 marzo 2016.
La sceneggiatura del film, curata da Nick Hornby, si basa sul romanzo di Colm Tóibín pubblicato nel 2009. Le eccezionali performance del cast hanno contribuito a consolidare la reputazione di “Brooklyn.” Saoirse Ronan è stata luminosa nel ruolo principale, ottenendo una meritata nomination agli Oscar 2016 come Miglior Attrice Protagonista. Il film stesso ha ricevuto una nomination come Miglior Film, mentre Nick Hornby è stato candidato per la Miglior Sceneggiatura Non Originale. Inoltre, “Brooklyn” vanta ben cinque candidature ai Bafta, attestando il suo status di film straordinario e indimenticabile.
Opinioni e recensione del film
“Brooklyn” di John Crowley è un film che offre solo la giusta quantità di informazioni narrative per riempire un cortometraggio, presentate in modo estremamente ponderato. Sembrerebbe che il film lo faccia per evitare qualsiasi ambiguità e per far sembrare la sua mancanza di sostanza estremamente importante. Pur raccontando una storia avvincente (tratta dal romanzo di Colm Tóibín), che comprime una vasta spanna di storia in un’esperienza intima, il film semplifica e riduce questa storia a un quadro essenziale e semplicistico. Il film è decorato con immagini piacevolmente carine, ma prive di carattere, e si riempie con interpretazioni che sembrano confinate in stereotipi, ad eccezione di Saoirse Ronan, che lavora duramente per dare profondità di sentimento al film.
È una storia da gustare nel solo raccontarla, una costruzione melodrammatica che virtualmente canta con l’ampiezza di esperienza e storia che porta sulla vita dei viaggi di Eilis e del dilemma di Eilis. Ecco perché la sensazione di vuoto cinematografico e la riduzione narrativa che “Brooklyn” trasmette, il risultato è un film quasi ridicolmente svuotato e pasticciato. Nonostante l’arte formidabile espressa dai suoi attori, “Brooklyn” non è tanto un brutto film quanto una sorta di auto-parodia virtuale di un genere: quello delle piccole, dignitose, pulite opere d’arte da film d’autore.
L’innocenza di Eilis non potrebbe essere più pura o più vuota se fosse stata importata direttamente da “Cappuccetto Rosso”, e la semplicità delle persone buone – e cattive – nella sua città natale, Enniscorthy, non potrebbe essere più evidente. È una visione idilliaca del Vecchio Mondo, offuscata da un unico personaggio, il capo di Eilis nel negozio, che potrebbe benissimo entrare in scena indossando le corna del diavolo e una coda appuntita.
Gli eventi visti in “Brooklyn” al momento di uscita della pellicola, coincidono con le riprese e l’uscita di “Il Tranquillo Americano” di John Ford, un’altra storia di immigrazione (sebbene in direzione opposta). In quel film emergono la ricchezza, la vivacità, la rudezza – e la complessità, i riti intricati, i conflitti latenti, le ferite storiche a malapena rimarginate – della vita in una città irlandese. Qualunque cosa siano i cittadini in “Il Tranquillo Americano” – comici, goffi, fanfaroni, testardi – sono anche profondamente, persino tragicamente, informati. Sono tutto fuorché innocenti.
La Brooklyn in cui vive e lavora Eilis è la città senza aglio, un’approssimazione senza odore e senza texture in cui l’accento teatrale e gommoso che Cohen presta a Tony e alcune allusioni vocali ai Brooklyn Dodgers aggiungono un po’ di grinta all’azione. Eilis vive a Brooklyn, lavora a Brooklyn, esce a Brooklyn e fa un punto di non conoscere la grande città. Non va a Times Square, all’Empire State Building o al Rockefeller Center. Non ha alcun senso del mito di New York, nessuna anticipazione, nessuna curiosità. Apparentemente non ha mai dato un’occhiata a una guida turistica o a una voce di Enciclopedia Britannica, ma va a New York come una lavagna vuota con una mente vuota.
Quasi ogni famiglia in ogni generazione a Enniscorthy aveva membri in Inghilterra e negli Stati Uniti. In estate, molti di loro tornavano per una breve vacanza, gli emigrati americani molto meno di quelli inglesi a causa della distanza e dei costi. In America facevano chiaro che si poteva diventare milionari. Anche quelli che non erano diventati ricchi sembravano o sembravano che un giorno potrebbero valere una fortuna. Basterebbe solo un po’ di fortuna.
La giovane Eilis intelligente e capace arriva a New York con la testa piena di storie, miti e sogni, arriva in una città di cui ha sentito parlare per tutta la vita, è circondata dai luoghi reali che sono stati la materia delle sue storie locali – e, nel film, Eilis non si aspetta niente, non immagina nulla, non sa nulla, non vede nulla, non fa nulla. Ronan è costretta a ritrarla come una vera e propria tabula rasa e a riempire quella vuotezza con una luce pura, quasi angelica, di virtù innata e ingenua che non è oggetto di conflitto spirituale, di visione auto-consapevole, di conflitto con aspirazioni mondane o con il corso ordinario dell’esistenza banale e profana.
Per strana coincidenza, “Brooklyn” uscì al cinema due settimane prima di un altro film su una commessa di un grande magazzino a New York nei primi anni ’50, “Carol” di Todd Haynes, anch’esso tratto da un romanzo, in questo caso di Patricia Highsmith. C’è un accenno al mondo di Eilis in “Carol” – lavoratori che cercano di superare la giornata e divertirsi di notte, cosa che fanno con un vigore disinibito. Non c’è alcun accenno al mondo di “Carol” – aspirazioni artistiche e desideri indisciplinati – in “Brooklyn”.
Le semplificazioni e le purificazioni di “Brooklyn” sarebbero solo noiose se servissero semplicemente a un meccanismo di narrazione semplificato. Ciò che li rende odiosi è l’etica che incarnano, la visione del mondo che confezionano. La visione impoverita degli anni ’50, di un villaggio irlandese e della città di New York, è un aspetto cruciale della posizione del film per il suo pubblico di film d’autore. Il film mira a spettatori che vogliono credere nella propria sofisticatezza solo per il privilegio di essere nati in un’epoca successiva, adulati nella loro convinzione di progressismo grazie alla loro maggiore conoscenza, alla loro consapevolezza o, meglio, alla loro convinzione, rafforzata da un film come “Brooklyn”, nella naïveté mentalmente impoverita del passato moderno.
I melodrammi di Hollywood realizzati nei primi anni ’50 sulla vita a New York, anche quelli girati negli studi e nonostante le restrizioni di produzione dei grandi studi, offrono più sapore e dettaglio, più vivacità e tessuto sociale complesso di quanto non faccia “Brooklyn”. L’estetica tesa dei classici drammi di Hollywood, affrontando codici di produzione così come censura effettiva, si basa sulla conoscenza di tutto ciò che era noto ma non poteva essere detto, di tutto ciò che era visto nella vita ma non poteva essere mostrato sullo schermo. “Brooklyn” guarda in modo ristretto alle immagini pubbliche più ristrette dell’epoca e lo fa letteralmente, guardando indietro con condescendenza e trasmettendo l’idea che le persone di allora non sapevano nulla, non vedevano nulla. Questa è la menzogna su cui si basa la finzione del film.
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