Stambecco

Domanda di: L. Decano | Ultima modifica: 21 Giugno 2023 - Tempo di lettura: 10 minuti
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Lo stambecco, conosciuto scientificamente come Capra ibex, è una maestosa creatura appartenente alla famiglia dei bovidi. Le sue possenti corna a forma di anello, che si ergono verso l’alto e all’indietro, ne fanno un animale dall’aspetto imponente. Questa specie di ungulato è originaria delle regioni montuose dell’Europa, comprese le magnifiche Alpi, i maestosi Pirenei, le affascinanti Alpi Dinariche e le maestose montagne dei Balcani.

Lo stambecco è un adattamento perfetto alla vita di montagna, grazie alla sua corporatura robusta e alla sua agilità nel scalare terreni scoscesi e rocciosi. I maschi, in particolare, sono caratterizzati da corna spettacolari, mentre le femmine ne possiedono di più piccole e sottili. Questi animali sono prevalentemente erbivori e si nutrono di erbe, muschi, licheni e altre piante presenti nel loro habitat. La loro dieta varia a seconda delle stagioni e delle disponibilità alimentari.

Purtroppo, lo stambecco ha affrontato una grave minaccia di estinzione a causa della caccia e della distruzione dell’habitat naturale. Tuttavia, grazie agli sforzi di conservazione e ai programmi di reintroduzione, la popolazione di stambecchi in molte aree è riuscita a riprendersi. Oggi, questi magnifici animali sono protetti in diverse riserve naturali e parchi nazionali, dove i visitatori hanno l’opportunità di ammirarli e contribuire alla loro salvaguardia.

È fondamentale sottolineare che l’osservazione degli stambecchi deve avvenire nel pieno rispetto delle norme di conservazione, evitando di disturbare gli animali nella loro vita selvatica. L’interazione responsabile con queste meravigliose creature contribuisce alla loro protezione e preserva la loro bellezza per le generazioni future.

Lo stambecco è forte, ma anche fragile

Nell’immaginario collettivo, lo stambecco alpino è un animale possente, capace di superare grandi distanze con pochi balzi e di arrampicarsi su pareti scoscese con apparente facilità. La realtà non delude le aspettative: questa specie rupicola è dotata di una muscolatura estremamente potente e di un’agilità quasi incredibile, considerando le sue forme massicce. Inoltre, dimostra una notevole resistenza ai rigidi inverni, anche se non è perfettamente adattato a nevicate eccessive. Tuttavia, osservandolo da una prospettiva genetica, emerge la sua estrema fragilità. Questo punto di vista genetico ci mostra come lo stambecco alpino sia una specie potenzialmente vulnerabile.

Per comprendere appieno questa situazione, dobbiamo fare un salto indietro di alcuni secoli. L’avvento delle armi da fuoco ha portato questa specie sull’orlo dell’estinzione alla fine del 1800. Solo un piccolo gruppo di meno di 100 individui, che viveva sul massiccio del Gran Paradiso, è riuscito a salvarsi e, grazie alle misure di protezione e ai programmi di reintroduzione, ha dato origine a tutti gli stambecchi che attualmente popolano le Alpi. Questi eventi, a livello genetico, sono definiti “colli di bottiglia” e hanno conseguenze significative. Durante tali periodi, infatti, si perde gran parte della variabilità genetica e, di conseguenza, il potenziale adattativo della specie, ovvero la sua capacità di affrontare i cambiamenti ambientali.

Negli ultimi anni, l’osservazione di epidemie, come ad esempio la rogna nelle Alpi orientali, che hanno portato all’estinzione di alcune popolazioni o persino alla drastica decisione di abbattere intere colonie, ha spinto i ricercatori a interrogarsi sulle connessioni tra la variabilità genetica e le malattie che colpiscono questa specie, nonché sulle conseguenze per la conservazione.

È noto, infatti, che la riduzione della variabilità genetica può compromettere la capacità del sistema immunitario di difendersi da agenti patogeni. Se gli individui presentano un’elevata diversità genetica, in caso di introduzione di un agente patogeno nella popolazione, è più probabile che ci siano alcuni individui in grado di resistere all’infezione o di guarire. Al contrario, se la variabilità genetica è bassa (o quasi nulla, come nel caso dello stambecco), le possibilità sono scarse e ciò può risultare letale per l’intera popolazione.

Per affrontare questa sfida, il Parco Nazionale Gran Paradiso, in collaborazione con istituti di ricerca all’avanguardia nel campo dell’analisi genetica e altri attori impegnati nella conservazione dello stambecco in Europa, ha avviato un progetto di ricerca mirato a comprendere le connessioni tra genetica e resistenza alle malattie. L’impegno del Parco per la protezione e la conservazione della sua specie simbolo è variegato e comprende sia monitoraggio e azioni dirette sul territorio, sia studi su larga scala come questo.

Le Alpi, un delicato equilibrio

Ogni anno, verso metà aprile, i prati di fondovalle del Parco iniziano a popolarsi di gruppi di maschi di stambecco che scendono a valle per alimentarsi nei primi pascoli che rinverdiscono dopo l’inverno. È in questa stagione che è più facile avvistare questi meravigliosi animali. Man mano che l’estate si avvicina e la neve si scioglie sulle alte vette, gli stambecchi si spostano a quote più elevate e diventano sempre più difficili da osservare. Lo stambecco è un erbivoro ruminante e il suo ciclo di vita è strettamente legato alle praterie alpine. La disponibilità di vegetazione nutriente è uno dei fattori che influenzano maggiormente gli spostamenti stagionali degli stambecchi.

Un altro elemento fondamentale è la temperatura diurna. Lo stambecco ha scarsa capacità di termoregolazione, il che significa che se fa troppo caldo non riesce a mantenere una temperatura corporea ottimale. Durante l’estate, deve trovare un equilibrio tra le sue esigenze alimentari, che lo spingono a cercare i pascoli più ricchi, e le sue esigenze fisiologiche, che lo portano a cercare zone più fresche. Le femmine di stambecco, inoltre, sono influenzate anche dalla necessità di vivere in zone sicure per i loro piccoli, lontano dai potenziali predatori, e quindi risiedono più vicino alle pareti rocciose, dove possono rifugiarsi rapidamente in caso di pericolo.

Le esigenze stagionali e le differenze tra maschi e femmine fanno sì che gli animali dei due sessi vivano separati per gran parte dell’anno, ad eccezione del periodo degli accoppiamenti, e si siano adattati a nutrirsi di specie vegetali diverse in diverse stagioni. Un recente studio condotto dai ricercatori del Parco Nazionale Gran Paradiso ha confermato questa teoria: la composizione della dieta di maschi e femmine si è rivelata estremamente diversa e variabile nel corso della stagione. Lo studio è stato condotto utilizzando una tecnica innovativa chiamata “DNA-barcoding”, che consente di identificare numerose specie diverse grazie a piccoli frammenti del loro DNA. Nel caso degli stambecchi, è stato possibile riconoscere le diverse specie vegetali consumate analizzando gli scarti della loro dieta, ovvero le feci. I risultati della ricerca hanno mostrato che maschi e femmine si nutrono di specie diverse e che la dieta segue le variazioni stagionali della disponibilità dei pascoli.

Il prossimo passo della ricerca sarà comprendere l’impatto delle modificazioni ambientali in corso sulla specie: il delicato equilibrio tra l’ambiente e le esigenze ecologiche degli stambecchi sembra essere minacciato. L’aumento delle temperature spinge gli animali sempre più in alto, dove l’erba è presente in quantità minore; lo scioglimento precoce della neve anticipa la stagione vegetativa, che non è più sincronizzata con il delicato periodo delle nascite dei capretti. Inoltre, l’abbandono del pascolo da parte dell’uomo favorisce l’avanzamento dei boschi a discapito delle praterie, che sono ambienti fondamentali per l’alimentazione dello stambecco.

Il compito dei ricercatori del Parco Nazionale Gran Paradiso sarà proseguire nella ricerca, anche attraverso attività sperimentali per la gestione delle praterie, al fine di trovare risposte a questi interrogativi cruciali per la conservazione della specie.

Oggi è una specie protetta

Lo stambecco (Capra ibex ibex) ha rischiato l’estinzione sull’arco alpino: nella seconda metà del XIX secolo il suo areale era talmente ridotto che la specie era presente esclusivamente nell’allora Riserva reale di caccia del Gran Paradiso, dove ne rimanevano meno di cento esemplari. Negli anni Venti del Novecento è stato reintrodotto nelle Alpi Marittime, territorio di quella che all’epoca era un’altra Riserva reale di caccia, su iniziativa del re d’Italia. Oggi, grazie ai dati ottenuti da censimenti periodici sui due versanti alpini, si stima la presenza di 2100 stambecchi, distribuiti su un areale che va ben oltre i territori delle due aree protette delle Alpi Marittime e del Mercantour: l’attuale diffusione della specie sul territorio delle Alpi Meridionali è in gran parte merito della collaborazione fra i Parchi, avviata negli anni Ottanta del Novecento.

Il grande mammifero degli artiodattili, lo stambecco, sta lentamente ampliando il suo territorio sulle maestose Alpi. Questa specie, che un tempo rischiava l’estinzione, ha visto un’incredibile ripresa grazie agli sforzi congiunti dei Parchi Nazionali delle Alpi Marittime e del Mercantour. Nel corso della seconda metà del XIX secolo, il numero di stambecchi si era ridotto a tal punto che sopravviveva solo nella Riserva reale di caccia del Gran Paradiso, dove meno di cento esemplari lottavano per la sopravvivenza. Tuttavia, grazie all’intervento del re d’Italia negli anni Venti del Novecento, la specie è stata reintrodotta nelle Alpi Marittime, aprendo la strada alla sua graduale ripresa.

Oggi, grazie ai censimenti periodici condotti su entrambi i versanti alpini, si stima che la popolazione di stambecchi sia cresciuta fino a raggiungere i 2100 individui. Ma la loro presenza si estende ben oltre i confini delle due aree protette originali, spingendosi nelle diverse regioni delle Alpi Meridionali. Questo risultato straordinario è stato ottenuto grazie alla stretta collaborazione tra i Parchi Nazionali delle Alpi Marittime e del Mercantour, che hanno unito le forze negli anni Ottanta del Novecento per proteggere e favorire la riproduzione di questa preziosa specie.

Il rinomato stambecco, conosciuto per il suo maestoso aspetto e le possenti corna, è un abile arrampicatore. Predilige i ripidi pendii e le pareti rocciose inaccessibili dell’alta e media montagna, alternate a prati e foreste rade. Durante la primavera, con la fusione delle nevi, gli stambecchi scendono a quote più basse in cerca di erba fresca, per poi risalire gradualmente verso le zone di svernamento in quota. Tuttavia, i vasti boschi costituiscono una barriera ai loro spostamenti, rallentando il processo di colonizzazione di nuovi territori.

La storia di questa specie è segnata dalla transizione da essere cacciati a essere protetti. Fino al XIX secolo, lo stambecco era oggetto di intensa caccia e aveva praticamente scomparso dalle montagne di Francia, Austria e Svizzera. Gli ultimi esemplari avevano trovato rifugio nella Riserva reale di caccia del Gran Paradiso, oggi Parco Nazionale. Inizialmente, questi animali erano protetti non per la loro importanza ecologica, ma per il puro divertimento dei cacciatori della casa Savoia. Successivamente, il re d’Italia Vittorio Emanuele III pose lo stambecco sotto tutela. Negli anni Venti del Novecento, furono effettuate reintroduzioni di successo sulle Alpi Marittime. Anche la Svizzera tentò ripetutamente di reintrodurre lo stambecco nelle sue valli.

In Italia, lo stambecco è stato legalmente considerato una specie particolarmente protetta nel 1977, per poi essere elevato allo status di specie protetta nel 1992, grazie al miglioramento dello stato delle popolazioni alpine. La specie è elencata nell’Allegato III della Convenzione di Berna e nella Lista Rossa IUCN come a basso rischio di estinzione.

Il processo di reintroduzione e ripopolamento è stato un vero e proprio viaggio per lo stambecco. Tra il 1920 e il 1933, sono stati trasferiti 25 esemplari dalla Riserva di caccia del Gran Paradiso alla Valle Gesso, a San Giacomo di Entracque. Questo trasferimento era un’impresa estremamente difficile date le risorse limitate e le conoscenze dell’epoca.

Le prime reintroduzioni in territorio francese sono state effettuate solo negli anni Settanta del Novecento. Successivamente, tra il 1985 e il 1992, è stato avviato un programma di ricerca congiunto per valutare le popolazioni di stambecchi e gli habitat utilizzati dalla specie sul territorio transfrontaliero. I risultati di questi studi hanno rivelato la lentezza con cui gli stambecchi colonizzano naturalmente nuovi spazi. Di conseguenza, sono state effettuate ulteriori reintroduzioni in siti selezionati che garantissero una protezione efficace per gli animali e promuovessero una ricolonizzazione naturale del territorio. Tra il 1986 e il 1987, sono state effettuate trasfaunazioni all’interno del Parco delle Alpi Marittime. Successivamente, dal 1987 al 1995, sono state realizzate reintroduzioni nel Parco Nazionale del Mercantour. Queste operazioni sono continuate negli anni 2005-2006, con il prelievo di una ventina di femmine dalle popolazioni del Massiccio di Belledonne (Isère) e dalla Vanoise (Savoia), seguito dalla loro liberazione nelle alte valli Var, Tinée e Ubaye, al confine con l’Italia.

Gli studi condotti sullo stambecco hanno rappresentato il punto di partenza per la cooperazione transfrontaliera tra i due Parchi. Le azioni comuni si sono concentrate sul ripopolamento, l’accelerazione della ricolonizzazione transfrontaliera dello stambecco e l’aumento della bassa variabilità genetica attraverso il rilascio di esemplari provenienti da diverse colonie. Questa bassa variabilità genetica era dovuta al fatto che le popolazioni delle due aree protette discendevano da meno di 10 dei 25 stambecchi originariamente rilasciati nelle Alpi Marittime.

Un’altra sfida per lo stambecco è il suo comportamento poco elusivo, che lo rende facile preda dei bracconieri. Pertanto, i due Parchi dedicano particolare attenzione alla protezione di questa specie.

I numeri del ripopolamento delle Alpi sono sorprendenti. Nel 1821, la popolazione di stambecchi sulle Alpi si era ridotta al solo nucleo del Massiccio del Gran Paradiso, con circa un centinaio di individui. Nel 1979, al momento della creazione del Parco Nazionale del Mercantour, il numero di stambecchi provenienti dall’area protetta italiana ammontava a soli settanta. Tra il 1987 e il 1994, nel Parco del Mercantour, sono stati rilasciati 48 stambecchi, di cui 15 provenienti dal Parco delle Alpi Marittime. Nel 1995, su richiesta del comune di Meyronnes (Valle Ubaye), sono stati rilasciati ulteriori 20 stambecchi nella zona di Rochers de St-Ours. Tra il 1986 e il 1987, sul versante italiano, sono stati catturati 46 individui nell’area del Massiccio del Monte Gelàs e successivamente liberati nel Massiccio del Monte Matto. All’inizio degli anni Ottanta, i due Parchi contavano complessivamente 360 stambecchi su una superficie totale di 97.000 ettari. Grazie agli sforzi congiunti, nel 2005 il numero di stambecchi ha raggiunto circa 2.100 unità e la loro distribuzione si è estesa anche alle zone limitrofe alle due aree protette. Si stima che sul territorio alpino francese vivano circa 10.000 stambecchi (dati del 2011), mentre in Italia il numero è di circa 15.000 individui. Il Parco delle Alpi Marittime ha svolto un ruolo significativo nell’aumento della distribuzione di questa maestosa specie, poiché parte degli stambecchi presenti sulle Alpi centrali-orientali proviene dal nucleo storico delle Alpi Marittime. Tra il 1993 e il 2004, sono stati catturati 250 individui nel Parco delle Alpi Marittime per essere liberati in altre zone alpine, facilitando il ritorno dello stambecco sulle Alpi.

La storia del ripopolamento dello stambecco sulle Alpi rappresenta una vera e propria vittoria per la conservazione della fauna selvatica e la collaborazione tra i Parchi Nazionali. Grazie a questi sforzi congiunti, lo stambecco ha avuto la possibilità di riconquistare il suo antico habitat e prosperare nelle montagne alpine. Tuttavia, nonostante il successo del ripopolamento, è importante continuare a monitorare attentamente la popolazione di stambecchi e ad adottare misure di protezione per preservare la specie a lungo termine.


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